Ironman Austria 2001, by IronMauro

“Devi combattere per il tuo diritto alla festa” (Beastie Boys)

Pre gara

E’ la terza volta che vado a Klagenfurt per affrontare l’Ironman, prendendo una settimana di vacanza, e la città ancora mi affascina. E’ bella, dolce, con bella gente. Questa volta io e Marcella abbiamo trovato un hotel fuori dal centro, vicino al lago. una situazione davvero ottimale per il relax.
Il giovedì abbiamo cominciato ad incontrare amici vecchi e nuovi: Anik, François, Mike... E’ il modo migliore, credo, per avvicinarsi una gara come un Ironman: conoscere gli altri atleti e le loro storie rende più facile godersi le parti più impegnative, una volta in ballo. Significa condividere vita, piuttosto che chilometri. Meglio, no?

Il venerdì ho il mio quarto d’ora di celebrità. Il direttore di corsa mi chiede se posso dargli una mano e presentare il briefing (gli ultimi dettagli che è necessario sapere sulla corsa) in italiano. Accetto e così mi ritrovo dopo secoli a parlare dentro ad un microfono. Comincio un po’ arrancando ma poi va tutto bene. Marcella si nasconde dietro un giornale (tedesco) mentre alcuni amici le dicono “chiedigli qualcosa che non c’entra nulla, vediamo la sua faccia!”
Credetemi, presentare un briefing prima di un Ironman ti mette in contatto con tutte le sfumature di tensione che gli atleti portano con sè.
La tua, te ne rendi ben conto, è solo una delle tante possibili.

Il sabato porto la bici e le borse necessarie in zona cambio, e mi sento così calmo che quasi mi preoccupo. Il meteo prevede sole e gran caldo, con minime possibilità di pioggerella nel pomeriggio. Mi sento pronto, in salute, se tutto va liscio dovrei finire in circa dodici ore e mezzo.

La gara

Il nuoto, o: alla ricerca del Vomitino Point

Sveglia alle 4:50, scendo per la colazione e tutti sembrano non veder l’ora di partire. Il cielo è limpido, Marcella felice e sorridente. Prendo la mia muta e mi dirigo in MTB verso il Worthersee, dove si nuoterà. Controllo tutto e alla fine sono pronto per la mia prima partenza di massa con 1500 persone. Ho paura! Cerco una posizione di partenza che mi permetta di non prendere troppe botte e alla fine BANG! 1500 persone che si buttano in acqua urlando riescono a coprire il frastuono fastidioso di un elicottero quasi rasoterra. Incredibile. Ci metto un po’ a trovare spazio per nuotare, e purtroppo qualche bottarella ci scappa. Pur facendo attenzione mi accorgo che ne dò anch’io...Una vera lavatrice! Alla fine, verso la prima boa (400 metri) sono tranquillo. Dopo un’ultima pedata in faccia riesco a nuotare da solo, vedo le boe (grazie agli occhialini graduati) e vado via col mio passo.

Seconda boa, dopo 800 metri. Si gira a sinistra, e tutti quelli che l’han presa larga si stringono su di me che ho seguito bene il percorso. Altre botte e poi dritti di nuovo verso la spiaggia, dove dovremmo uscir dall’acqua e fare 100 metri di corsa per poi rituffarci verso il Lendkanal. Sto bene, il Vomitino Point non si fa ancora sentire. Ripeto il previsto mantra: non toglierti la muta, non è finita, non toglierti la muta, non è... una volta sulla spiaggia. Poi mi rituffo. Per i pessimi nuotatori come me è stato un momento di relax, per molti dei più bravini c’è stata qualche difficoltà a riprendere il ritmo, dopo la passeggiata (sarà stato per le centinaia di persone che ci urlavano a venti centimetri?). Arrivo a circa 2300 metri, comincio ad essere un po’ stanco. In effetti, quest’anno in allenamento non ho mai nuotato di più, quindi è normale. il passo però regge, quindi le ripetute funzionano, così come aver messo una sbarra per piegamenti in casa!


Vomitino Point? Non ancora, ma sento che qualcosa si sta preparando... Due anni fa era proprio qui, intorno ai 2500 metri. Ora sto bene, e questo mi fa star bene. Certo, le boe sembrano allontanarsi, anche se entro nel canale in buone condizioni generali. Dò un’occhiata dietro di me: quanta gente! Accelero, e questo forse accelera anche il Vomitino Point. Al solito, in meno di due minuti sto malissimo, mi fermo, vomito e sto subito meglio. Succede dopo circa 3,4Km: Vomitino Point, sei quasi fuori dalla mia frazione di nuoto!

Arrivo sulla spiaggia un minuto sotto il mio record, 1:23:25, e sto bene, senza mal di testa o eccessiva stanchezza come gli anni scorsi. Sotto la tenda del cambio c’è una baraonda: mi cambio, metto un po’ di crema solare e vado verso la bici. Marcella è felice di non vedermi bianco come un cencio lavato dopo il nuoto, e mi dice che mi ama. Penso in quel momento che sarà dura essere più felice di così, quel giorno, ma penso anche che ci proverò, e nel peggiore dei casi userò questa gioia come energia di riserva. Ne avrò bisogno...

Ciclismo, o: guarda mamma - senza manubrio!

E’ già troppo caldo, e sono solo le 8:30. I primi 20 chilometri scivolano via lisci lungo il lago. Bevo, aspetto a mangiare, affinché lo stomaco si riassesti dopo il Vomitino Point, permetto al cuore di assestarsi secondo il nuovo tipo di sforzo. Sono quasi solo sul percorso. Arrivo al giro di boa, dove trovo il primo grosso gruppo di spettatori indiavolati. UAU! Arrivo alla salitona, il Rupertiberg, insieme ad un gruppo di atleti che vanno più o meno al mio passo. Siamo tutti tranquilli, sembriamo in forze e rispettiamo i dieci metri di spazio tra noi. Cominciamo a salire, e ci metto poco a capire che il mio passo, pur tranquillo, è il più veloce. A metà della salita sono davanti a tutti. Vado su tranquillo ma arrivato vicino allo scollinamento ecco il Tour De France. Decine di persone urlanti a pochi centimetri da te, che ti sostengono, ti spingono, ti toccano, un muro di folla che ti si apre davanti non appena devi passare. Calma Mauro, non badare all’adrenalina, sorridi e stai seduto... Un secondo dopo aver pensato questo mi si alza il sedere dalla sella, accelero e la folla esplode, come la mia testa. Sono quasi in lacrime, gasato di esser lì!
Poi, la discesa, veloce e sicura. Il primo giro, 60 km, è andato, sotto con il secondo dopo esser passato davanti alla zona cambio e ad altri pazzi scatenati...
Beh, tagliamo corto e arriviamo al punto.
Circa all’ottantesimo chilometro, con la testa già alla seconda salitona, mi affianca e supera a gran velocità la prima donna, Wendy Ingraham. Dietro di lei, scorrettamente 7-8 uomini in scia. Lascio scorrere, smetto di pedalare quando l’ultimo, quasi affiancandomi lancia un grido, forse per segnalare la moto di un giudice, che ne so. Si scompone guardando indietro, mi tocca, balliamo entrambi, per terra finisco io.

Prolunghe aero distrutte, sella girata, ruota davanti balenga e con il copertoncino un po’ fuori dalla sede, bevanda isotonica sparsa in giro, gomito, ginocchio ed anca sinistra ben sbattuti. “Ok?” mi chiede il grazioso atleta, ormai 50 metri avanti. “Ok” rispondo, intendendo che sono vivo, nulla di più. Non ti far vedere, ho altro da pensare. Il corpo pare a posto. Comincio a mettere a posto la bici, e mi porta via un po’ di tempo. Altri atleti passando chiedono se ho bisogno d’aiuto, ma sono in una sorta di limbo fino a che mi rendo conto che posso continuare, magari andando piano in discesa perché la ruota davanti non è per nulla a posto come vorrei.

La parte dura arriva ora. Dopo poche pedalate mi rendo conto che le botte sono di quelle che faranno male più tardi, dopo la gara (e per fortuna sarà così) ma mi fa male la zona intorno alla clavicola sinistra, che mi fratturai in una caduta simile nel ‘93. Bloccato! Che fare? Immediatamente mi ricordo che in quell’occasione avrei continuato, se non avessi distrutto la ruota anteriore... E ora? Il doloretto è simile, la voglia di continuare anche, la bici però va... Pedalo piano e un poco smarrito, testando articolazioni e dolori in zona spalla, avvicinandomi alla salita. Decido - meglio: il Mauro delle Grandi Decisioni decide - di lasciare alla salita il verdetto. Se fa male, lì c’è un medico e sono in buone mani. Se non mi fa male sono intero e vado avanti. Cerco di andare su normalmente, la gente mi incita, il dolore addirittura passa. Affronto la discesa contento, ma mentalmente esausto!

Detta discesa comunque si rivela meno brutta di quanto mi aspettassi, per via della ruota danneggiata, riesco a frenare quasi normalmente. Finisco il secondo giro, e agli amici grido i problemi avuti, per sfogarmi - la cosa aiuta a sentirmi più leggero. Cominciare il terzo giro mi dà buone sensazioni: meno atleti sul percorso, più tranquillità. Forse mi rilasso un po’ troppo, però: la concentrazione cala, comincio a sentirmi demotivato, la pedalata si fa sempre meno efficace. Per un po’ sono sforzi titanici per mantenere una posizione decente in sella e una parvenza di andatura regolare... Tutto ciò passa grazie al fatto che arrivo per la terza e ultima volta ai piedi della salitona: il morale e la concentrazione tornano in alto (se capite perché ditemelo, per favore!).
Il sole sta dando il massimo, ora, e con la stanchezza spinge il mio battito cardiaco troppo in alto. Per non stare troppo fuori soglia anaerobica spingo la bici per un 200 metri, a tre quarti della salita, poi la finisco e riprendo la discesa. Per tutto il terzo giro ho stretto amicizia di passo con molti atleti, la maggior parte dei quali in piena crisi per aver spinto troppo durante i primi due giri. Craig, Chris, Jenny, Naoko, Wolfram... Abbiamo condiviso molto più di un’insolazione, là fuori!

Tornando all’ultima discesa, questa mi ha permesso un discreto recupero, tanto da tenere un buon passo per gli ultimi dieci-quindici chilometri di pianura e falsopiano. Scendo dalla bici dopo 7 ore e 31 minuti, oltre mezz’ora peggio della peggior previsione, ma a quel punto anche 8 ore mi avrebbero reso felice!

Corsa, o: esplorando la Casetta

Dimenticavo di dire che durante l’ultimo giro in bici ho sofferto anche di un gran mal di piedi, una recente acquisizione del mio “bagaglio tecnico” ciclistico... Ciò ha portato ad un cambio ridicolmente lungo, prima di correre, in quanto non riuscivo ad entrare nelle mie scarpe (sono i momenti in cui è gravissimo pensare a quanto dovresti correre, una volta uscito da quella tenda così accogliente...;). Beh, alla fine ci sono riuscito, ma prima di poter dire “corro” ci sono voluti un paio di chilometri. Poi però per mezz’ora andavo che era un piacere, cercavo di mantenere un passo comodo (sarò andato a 5:10 a km, più o meno) e di rilassare la testa. Passata questa mezz’ora, però, la testa voleva assolutamente mollare tutto, e il cuore non si schiodava dai 150 battiti anche se camminavo. Training mentale, dove sei? Son qui, tieni duro... Ma era una vocina troppo lontana. Mi sono fermato quattro volte per evacuare (il mio record precedente era DODICI) e sotto quest’aspetto, almeno, non ho avuto grandi problemi, ma era terribile quando sentivo che le gambe andavano bene ma non avevo quasi controllo sulle soste al passo che mi trovavo a fare ogni 6-700 metri, e anche meno, a volte. Il cervello era più stanco delle gambe, e con questa sensazione ho completato metà maratona. La scelta di non portare cronometro alcuno mi sembrava azzeccata in un momento e deleteria un momento dopo... Arrivai al punto di pensare con buona lucidità di ritirarmi non appena ritirato l’elastico nero che davano al secondo passaggio, così da poter avere un bel massaggio da finisher, anche se non lo ero... Qui stavo entrando in crisi dura, e probabilmente avrei fatto così. Per fortuna sono incocciato in Marcella.
“ Come stai?”
“Male. Mi ritiro”
“No! Voglio dire, fai come ti senti, pensaci bene...” Troppo tardi. Quel “no” veniva da posti profondi. Da una piccola Casetta dove solo noi due possiano entrare. Un posto dove conserviamo il nostro amore, condividiamo le nostre vite, e anche la passione che ci ha portato ad affrontare questa gara, io da una parte e lei dall’altra. Un semplice “no” mi è bastato per tornare nella nostra Casetta e riprendere l’equilibrio necessario per notare in modo diverso che le mie gambe andavano, che il mio cuore si era un po’ ripreso, che le botte non mi facevano ancora male.
Sono allora uscito da quel bel posto e con facilità sono tornato concentrato: che si fa? Ci sono 21 km da fare. E’ come se fossero meno, perché posso prendere un sacco di persone e tirar su il morale (già lo facevo, ma non gli davo nessuna importanza!), e più mi avvicinerò al traguardo più sarò contento e positivo. Dimentica la caduta e il resto, pensa a correre. E così ho fatto.

Dopo breve sono passato dietro la linea del traguardo, e ho guardato per la prima volta dalle 7 del mattino, ora della partenza, quanto tempo fosse passato. Il display diceva 12 ore e pochi minuti. Con un rapido calcolo pensavo che a spanne potevo finire in 14 ore e mezzo, forse di più. Ok, si va.

Uscito dal trambusto della zona arrivo mi affianca un ragazzino. Parliamo un po’. Si chiama Michael, è di Klagenfurt, ha 12 anni. Ha corso la gara Ironkid del venerdì prima e vuole fare un Ironman fra qualche tempo. Dopo un po' sputa quando sputo io, prende ai ristori le stesse cose che prendo io, si ferma e fa lo stanco quando e come lo faccio io (ma io lo son di più!). Mi fa una tenerezza incredibile, ma si fa scuro, e per convincerlo a tornare indietro (ci stiamo dirigendo verso il centro di Klagenfurt) gli dico che se mi aspetta poco prima dell’arrivo lo prendo con me e tagliamo il traguardo insieme. Michael si illumina, mi ringrazia e torna indietro di corsa - così veloce che mi fa male tutto solo guardarlo...

Quella frase era per me, l’avrete capito. Mi ha riportato dentro la Casetta. E mi ha fatto venire in mente i piani preparati al millimetro dal mio amico Sandro, in gara anche lui, che ha istruito moglie e suocera per farsi passare suo figlio Jacopo e tagliare il traguardo con lui. L’ha fatto, e deve essere stato grandioso. Io Michael non l’ho più visto, purtroppo: sarà destino che sarà mio figlio, o mia figlia, un giorno a tagliare il traguardo di un ironman con me!

Non c’è molto più da dire: ho corso la seconda mezza maratona più veloce della prima di sei minuti (facile se il tempo totale è di 5 ore e 31 minuti, comunque!) e circa un chilometro prima dell’arrivo incontro di nuovo Marcella.

“Stai bene?”
“ Benissimo, amore, vai a vedere il mio arrivo!”
Comincia a corrermi a fianco, poi si stacca sempre di corsa ed entra nell’Ironman City per raggiungere le tribune. E’ bellissimo vederla, e comincio anche a sentire la presenza del traguardo, degli ultimi cento metri con tribune a strapiombo, musica a palla, speaker che urla, lancia fiamme riflettori megaschermo e fumi di scena.

E’ ormai buio, e a trecento metri dall’arrivo passo attraverso un pezzo non illuminato, giusto dietro il maxischermo. Non vedo un piccolo restringimento del percorso, fatto con una rete a maglie larghe che definisce il percorso da fare, e vado dentro questa come un pesce. Cado per terra pesantemente, battendo ancora la parte sinistra del corpo. Pensiero: Marcella ha più tempo per sedersi, ora. I soldati di servizio in quel punto mi aiutano gridandomi che ormai è finita, che sono stato grande e che devo andare: nessuna novità, ma mi gaso da pazzi. Non ricordo di aver toccato terra con i piedi, durante gli ultimi metri, felice in mezzo ad almeno 400 persone urlanti il mio nome e la gioia di festeggiare un altro finisher.

Sono saltato sulla linea del traguardo, ricordando al mondo che posso fare un Ironman, ma che posso essere molto di più, perché ad un Ironman non ho nulla da chiedere, non più. Ho solo gioia da condividere e vita da celebrare.

Spero che questa storia sia in grado di condividere la mia felicità con voi che l’avete letta. Io ho ricevuto tantissimo da questa gara, e con questo racconto cerco di rimettere in circolo tutto il positivo ricevuto, con l’aggiunta di un po’ di me, naturalmente. La prima occasione sportiva per riattivare questo bel volano, invece, sarà la prossima Venice Marathon, il prossimo ottobre, dove farò il pacemaker con i palloncini blu: accompagnerò e aiuterò tutti coloro che vorranno provare ad andare sotto le quattro ore.

E state pur tranquilli. non cadrò neanche una volta ;)

Un abbraccio


IronMauro