Ok, parliamo di calcio (19 marzo 2003)
"Thanks, God bless you!" Così mi dice Paul, un amico nigeriano, per avergli regalato un paio di scarpe sportive, delle vecchie Nike regalatemi troppo larghe per i miei piedi. Paul era qualcosa di più di una promessa del calcio africano. Meno di due anni fa era in ritiro in Florida con la nazionale junior del suo paese. Poi un incidente, l'addio ai sogni di gloria, l'avvio di un'attività di import-export. Poi, Miss Universo: la caccia al cattolico, e Paul lo è. La perdita di ogni cosa. Un viaggio rocambolesco fino in Italia, una borsa pesante piena di calze e strofinacci da vendere che gli spacca la schiena. "Sono fuori allenamento, ma me la cavo bene, se non fa troppo freddo!". Paul gioca in una delle tante squadre che sono la speranza del calcio come Sport: sono quelle dove in difesa stanno gli albanesi, a centrocampo rumeni e russi, in attacco marocchini e per qualche accordo insondabile qualche italiano. La divisione dei reparti è spesso rigida. Spesso si litiga, ognuno nella sua lingua, quindi per spiegarsi ci si mena volentieri. Ma se vi capita di vedere un incontro di questi (tocca alzare il culo, cocchini, in tv non ci sono) resterete stupiti di quanta anima queste persone mettono in campo. Vincono tutti, perdono tutti, e quando pareggiano a volte sono quasi capaci di rilassarsi: non capita spesso di dividere qualcosa senza esserne costretti, in questo momento della loro vita. Sono tre sabati che Paul non viene a trovarmi. Che l'abbiano squalificato? |
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