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Ea maratona de Venessia! (27 maggio 2003)
Come veneziano, lascio a desiderare.
Prima di tutto, sono nato e cresciuto a Porto Marghera. E poi ho sempre preferito la montagna al mare, fin da piccolo.
In compenso ho corso tutte le Venice Marathon dal '95, ma solo il 25 maggio 2003 ho partecipato a quella che ormai ritengo l'unica maratona de Venessia possibile: la Vogalonga.
Dicesi Vogalonga 30 km da percorrere su barca a remi, e in modo non competitivo, in laguna, con partenza davanti a S. Marco e arrivo alla punta della Dogana, nei pressi della Basilica della Salute.
Con fortuna ho potuto imbarcarmi sul "Samoro Nero", dragon boat del Canoa Club Mestre che quest'anno ha allestito un equipaggio composto da novizi totali, turisti francesi, campioni di alto livello Sport con la S maiuscola, insomma.
Ritrovo al molo di S.Giuliano, sede del club, alle 7:00. Dopo breve siamo in acqua, e subito il pagaiare in un dragone mi pare la cosa più scomoda del mondo, anche se divertente (faccio ovviamente parte dei "novizi totali", se si esclude una breve esperienza di rafting quando ero giovane e scriteriato - e comunque lì era tutta discesa). Qualche km per raggiungere Venezia, qualche chiacchiera per conoscersi.
Dopo un rapido, efficace e soprattutto NECESSARIO corso di pagaia da parte di Claudio, l'esperto timoniere (corso svoltosi alle 8:45, in bacino s. Marco, in tempo per partire alle 9:00), partiamo al colpo di cannone.
Siamo abbastanza avanti: il dragon boat è un'imbarcazione veloce, se vuole, quindi non avremo mai troppa folla. Si decide per una partenza vivace, comunque, per saggiare anche la forza degli altri dragon: l'anno scorso il Samoro Nero fu il primo dragon boat ad arrivare alla Salute!
Intorno a noi pochi altri dragoni, canoe veloci, qualche barca da canottaggio e un quattro senza con dei tedeschi muniti virtualmente di paraocchi, incuranti degli altri e dritti sparati. Pericolosissimi.
Lasciamo alle spalle la zona dello stadio e molliamo un po' il colpo.
Novizi e turisti contano già gravi perdite: le turiste francesi non vanno a tempo, io non ho più la spalla sinistra, altri più navigati rivelano scarso allenamento recente. A metà barca imbarchiamo pure acqua, e altri dragoni ci passano con passo sicuro.
Claudio, l'esperto timoniere, ripone i sogni di gloria e si rilassa un po'.
Procediamo ora di conserva, cerchiamo di riprendere fiato e goderci la laguna, che è uno spettacolo di natura e di sole: lo spesso strato di crema solare applicato si rivelerà decisivo per la salute di tutti.
Le posizioni sono stabilizzate: si chiacchiera anche con altre imbarcazioni, si incontrano amici, ci si sfotte.
Ad un certo punto si fa sotto un dragon boat di Chioggia, e ci lascia praticamente sul posto.
E' dura da mandar giù: il nostro ritmo si alza d'incanto e limitiamo i danni, ma sono di più e meglio "attrezzati" fisicamente. Li vediamo dopo un po' fermi a far pipì: gliene gridiamo di tutte (fra le riferibili: i veri uomini non pisciano mai, vi facciamo un culo così). Rispondono a tono: l'allegria è grande, non c'è cattiveria, ma l'odio tra Venezia e Chioggia non ammette copioni diversi.
C'è ora un lungo tratto dove c'è solo acqua: è come andare in autostrada. Il ritmo cala, si recupera, ma si arriva quasi a star fermi: Claudio, l'esperto timoniere, ha il suo bel da fare a farci star su quanto a colpi in acqua.
Si rivede un po' di mondo quando si arriva a Murano, bellissima: d'obbligo l'alzata di remi davanti alla terrazza di Lino Toffolo, che come un pascià si gode la Vogalonga con gli amici.
Dopo "l'autostrada" la barca è un po' più viva, fisicamente e mentalmente: si decide di non far passare più "i gatti", ovvero il dragone di Chioggia. La tattica prevede di entrare per primi a Cannaregio, il quartiere popolare che funge da entrata in città dopo il canale di Tessera: da lì sarebbe difficile essere poi sorpassati se non allo sprint finale in Canal Grande.
Ovviamente lo sanno anche a Chioggia, e soffrendo come dei maiali senza fango riusciamo ad entrare per primi a gran ritmo a Cannaregio, dove il nome della nostra barca solleva gli animi di tutti. Marcella, posta sul ponte dei Tre Archi, mi dice che avevamo due lunghezze sui chioggiotti, e che entrambe le barche sputavano sangue urlando Op! ad ogni colpo in acqua.
Cannaregio è un quartiere popolare, e le rive sono piene di gente. Passo davanti alla mia scuola, ma sto ancora pompando e quasi non me me accorgo. La pelle d'oca è alta così.
Al ponte delle Guglie, sotto il palazzo della RAI, strozzatura per entrare in Canalazzo: prevedibile, ma tanto la nostra porca figura l'abbiamo fatta. Solo che ora i gatti ci sono arrivati sotto.
Ma si è mai visto un gatto mangiare un leone? Non sia mai.
Riprendiamo di gran lena, ma non riusciamo più a darci il tempo, siamo a pezzi e risparmiamo il fiato. Riusciamo a pompare bene solo sotto al ponte di Rialto, dove ci ritorna anche la voce: l'eco dei nostri op! sotto la volta ci gasa mica poco, me li ricorderò per un pezzo, anche perché ci sono usciti per coprire la richiesta di Jerome, che voleva smettere di vogare per fare una foto al ponte... Non l'avesse mai fatto poverino, l'abbiamo massacrato di parolacce, e Claudio gli ha dovuto promettere che la foto la facevamo dopo... Avesse avuto avi chioggiotti?
Più costanti, quelli di Chioggia ci rimontano in progressione: sotto il ponte dell'Accademia penso che il cuore mi scoppi: ma so che l'arrivo è a poche centinaia di metri. Io pagaio a destra, e ora vedo la punta dell'altra barca che ci affianca: siamo praticamente pari quando mollano, mi chiedo perché ma Claudio, l'esperto timoniere, dice che è fatta: patta? Chi lo sa, chi se ne frega.
Avete presente i canottieri che sembrano paralizzati, dopo i mille metri delle loro gare? Con le dovute e rispettose proporzioni, ora li capisco. Anche pensare fa fatica. Ci vuole un minuto buono per farmi alzare la testa e sorridere ad Ale seduto al mio fianco per due ore e 32 minuti, discreto tempo, e tutto messo in cascina da Murano, in pratica.
Diplomi e medaglie ci vengono lanciati da un palchetto galleggiante, e ci dirigiamo al molo della basilica della Salute, per rilassarci un po' prima del ritorno. Lì è quasi zona vip, è pieno di turisti a rispettosa distanza da noi e da altri che scendendo lanciamo alte grida. Il culo è cartonato, e le gambe tremano a tutti. Probabilmente puzziamo pure, e ciò spiegherebbe la rispettosa distanza.
Torniamo presto a bordo, però, per evitare ingorghi al ritorno e perché c'è la foto a Rialto che Jerome deve assolutamente fare: ne va di mezzo il prestigio del suo club, pare.
Per accontentarlo allunghiamo non poco la strada del ritorno, appesantiti poi da parenti ed amici vari, ma ne vale la pena, perché tagliamo per qualche rio un po' nascosto e ci riempiamo gli occhi di Venezia come è difficile da vedere, se non paghi qualche milione ad un gondoliere (gli occhi sono bene aperti anche perché in certe zone il rischio di trovarsi una pantegana a bordo è palpabile).
Altri 5 km per tornare al molo del club, ed è ora di pranzo.
Ho finalmente partecipato alla maratona de Venessia!
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